venerdì 23 marzo 2012

Le origini delle fate

L'origine delle fate è molto controversa e varia a seconda delle diverse culture. Un racconto islandese, ad esempio, narra che Eva stava lavando tutti i suoi figli quando improvvisamente le apparve Dio. Eva, allora, colta alla sprovvista, nascose i bambini che non aveva ancora lavato, lasciando alla vista del Signore solamente quelli puliti. Quando Dio le chiese se i suoi figli fossero solamente quelli, Eva asserì. Fu così che il Signore decise che i figli che Eva aveva nascosto sarebbero rimasti nascosti anche agli uomini. I figli "nascosti" di Eva furono, dunque, i primi elfi e le prime fate. In Norvegia, invece, la tradizione vuole che le fate uscirono dal cadavere del gigante Ymir. I popoli delle culture nordiche fanno risalire la prima apparizione delle fate all'origine del mondo stesso. Esse sarebbero degli angeli caduti dal cielo, non talmente cattivi da essere mandati direttamente all'Inferno.
Le fate ed i bambini
Le fate possono agire sul destino degli uomini, influenzandolo negativamente o positivamente. In Irlanda esiste una tradizione che vuole che alla nascita di un bambino si allestisca un banchetto, detto, appunto, "banchetto delle fate". Il banchetto attira l'attenzione delle fate che, una volta giunte all'interno della casa, dovrebbero notare il neonato e prenderlo sotto la propria protezione. Non sempre, però, le fate si dimostrano benevole e gentili. Quanti di noi conoscono la storia della "Bella addormentata nel bosco" avranno imparato che non bisogna mai fare un torto ad una fata, altrimenti…. La fata potrebbe decidere di influenzare NEGATIVAMENTE la vita di un bambino. Nel Medioevo le madri venivano ammonite di non lasciare mai incustodito il neonato, altrimenti la fate lo avrebbero rapito, sostituendolo con un bambino fatato, malaticcio.

Poesie e pensieri sui draghi

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Fa freddo, l'aria è ghiacciata ma pura.
Una trama sottile di brina si è deposta sul mio viso.
Viso, alcuni direbbero muso.
Sono secoli che dormo, secoli che non levo
il mio possente volo di Drago
ora voglio l'immensità del cielo
ed il sole splendete.


Dall'acqua sapienza noi Draghi sveliamo
l'antica saggezza portiamo nel cuore
il falso in silenzio ognor combattiamo
alla vita e alla morte doniamo valore.
Del sole noi siamo guerrieri valenti
siam forza, fierezza coraggio ed onore
siam Draghi di fuoco da sempre presenti
alla vita e alla morte doniamo valore.
Tra i venti e le nubi voliamo maestosi
noi draghi dell'aria destiamo l'ardore
guardarci negli occhi il vile non osi
alla vita e alla morte doniamo valore.
Custodiamo nel tempo tesori celati
della terra vivente abbiamo il colore
da oscure caverne, da monti assolati
alla vita e alla morte doniamo valore.

Nei venti del tempo
le ali han spiegato
testimoni silenti
di un sapere
arcano
... alfieri orgogliosi
di un grande passato
riportano i fasti
di un mondo lontano ...


IL RIMPIANTO DEL DRAGO

Quando il drago era vecchio e l'uomo era giovane,
il drago ebbe pietà dell'uomo giurando di difenderlo
ma l'uomo lo ripagò facendolo estinguere.

(di: Giuseppe Perrotti)

 

ELEMENTS

Dell'aria, dell'acquae della terra siamo i padroni.
L'aria, le rocce e le folgori i nostri elementi.
Siamo i draghi possenti.

(di: Giuseppe Perrotti)


IL DRAGO

Una creatura dall'animo forte, coraggiosa e giusta.
Una creatura dal cuore puro che combatte i malvagi e difende i giusti.
Custodisce arcani tesori, della saggezza è il padrone e dell'uomo il custode.
Onore, giustizia, fedeltà e coraggio, è il motto di un drago saggio.

L'origine dei draghi

Premessa 

Fin dagli albori dei tempi, i miti e le leggende sono state popolate di mostri incantati, dalla forza sovrannaturale. I più potenti erano i draghi: creature con il corpo di serpente, le zampe da lucertola, gli artigli da aquila, le fauci di un coccodrillo, i denti di un leone, le ali di un pipistrello. I draghi avevano incredibili poteri sovrannaturali e, soprattutto, erano malvagi e distruttivi. In ogni mito, in ogni leggenda occidentale, il drago fa la parte del cattivo. L’origine dei draghi si perde nei meandri della storia dell’uomo: infatti compaiono nelle leggende di popoli del passato, sia europei che orientali, ma la loro concezione è notevolmente differente; mentre nelle zone occidentali i draghi erano considerati l’incarnazione del male, portatori di distruzione e morte, in oriente erano visti come potenti creature benefiche. I draghi sono sempre stati descritti come delle creature simili a enormi serpenti, con grandi arti anteriori e posteriori, dotati di fauci enormi e artigli taglienti. Normalmente venivano descritti con il corpo pieno di squame protettive e capaci nella maggior parte dei casi di sputare fuoco e di volare grazie a grandi e potenti ali. Nelle leggende, i draghi sono visti come creature prodigiose: si riteneva che le ossa, così come il loro sangue, potessero avere elevate proprietà curative. Il loro sviluppo poteva durare molti secoli prima di raggiungere la piena maturità, si narrava che un uovo di drago impiegasse non meno di un secolo per schiudersi; inoltre solo dopo altre centinaia di anni il drago raggiungerà il suo massimo sviluppo con la crescita sulla testa di lunghe corna ramificate. Naturalmente, grazie alla loro grande longevità, queste creature, che è estremamente riduttivo chiamare semplicemente “animali”, acquisivano una conoscenza e una saggezza senza pari… eh già, perché il Drago ha anche un’intelligenza superiore a quella dell’uomo! Perché dunque si è giunti all’idea del drago come di incarnazione del caos, come creatura che distrugge e non crea?
Questo tipo di pensiero risale anch’esso agli albori del tempo.
 

I Draghi nella storia 

Come detto in precedenza, la figura del drago nelle zone occidentali era sinonimo di carestia, distruzione e morte. In Europa i draghi erano simbolo di lotta, di violenza e di guerra: infatti la loro immagine veniva spesso utilizzata come araldo in battaglia; sono innumerevoli i riferimenti storici e le leggende legate ai draghi, la maggior parte dei quali risalenti al medioevo. Moltissime sono le fonti storiche ed i manoscritti che testimoniano la presenza de  "la bestia per eccellenza" nel vecchio continente. Nei Bestiari ad esempio, ci sono descrizioni dettagliate sull'aspetto e sulle abitudini dei draghi, i quali erano soliti usare come tana, grotte in cima a montagne o in territori molto impervi da dove uscivano molto raramente; è anche noto che al solo ruggito del drago, tutti gli animali, compresi i leoni, correvano terrorizzati nelle loro tane. Notate l'immagine qui a destra, è un drago che solleva da terra un elefante ed è tratta da un autentico Bestiario medievale. Secondo la tradizione occidentale, l'estinzione dei draghi, risale proprio al medioevo dove, cavalieri erranti, avventurieri in cerca di gloria e cacciatori di draghi dedicavano la loro vita alla lotta contro queste bestie, decretandone lo sterminio. E' molto celebre la storia di San Giorgio (immagine qui sotto) l'uccisore di draghi.  Non ha bisogno di presentazione la ancestrale ed impari lotta dell'uomo contro il drago. Il drago come simbolo del Male in Europa dunque, per capirne il motivo basta ricordare i massacri e le carestie che portavano i draghi medievali al loro passaggio; quale migliore arma contro la manifestazione del male se non la Santità? Si pensi dunque alle leggende di San Marcello vescovo di Parigi, di San Romano e della Gargouille di Rouen, di San Silvestro che libera Roma dal drago dall' alito velenoso, che vive in una grotta profonda per accedere alla quale bisogna scendere centinaia di gradini...  Importante anche la storia di Santa Marta che sconfisse un drago chiamato Tarasca: la leggenda racconta che nei tempi in cui Santa Marta stava evangelizzando la Provenza, un terribile ed enorme drago chiamato “Tarasca”, devastasse le fertili pianure della valle del Rodano e impedisse agli uomini di vivere tranquilli in quei luoghi. La Santa, venuta a conoscenza del fatto, inseguì la bestia nelle profondità dei boschi e la domò cospargendola di Acqua Benedetta e segnandola con il Segno della Croce. Infine, mansueta e addomesticata, legò alla sua cintura la coda del mostro e lo portò nell’odierna città di Tarascona, che dal drago prese il nome. La popolazione si vendicò dei soprusi e delle barbarie lapidando il drago. Da allora ogni 29 giugno la Chiesa ricorda Santa Marta e nella città di Tarascona si tiene una solenne processione aperta dal fantoccio dell’impressionante Tarasca con le fauci spalancate. Nei pressi una ragazza vestita di bianco benedice il mostro, che alla fine viene legato e sopraffatto Il più famoso Santo uccisore dei draghi è, naturalmente, Giorgio, Santo-soldato protettore dell’Inghilterra. Della sua storia si conosce ben poco: visse, nella zona di Diospolis, in Palestina; fu decapitato a Nicomedia per ordine di Daziano Preside, nell’ambito delle persecuzioni di Diocleziano, intorno all’anno 287. Nel XII secolo, importata dai Crociati, cominciò a circolare la leggenda secondo la quale San Giorgio, giunto a Silene (Libia) dalla Cappadocia, aveva ucciso un drago in procinto di divorare una principessa legata ad uno scoglio. Giorgio diventò l’uccisore di draghi per eccellenza, e fu adottato come patrono dell’Inghilterra da Edoardo III intorno al 1348. Il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolanii” racconta che San Giorgio ha vissuto in Brianza, dalle parti di Asso. Un drago imperversava da Erba fino in Valassina, ammorbando l’aria con il suo fiato pestifero e facendo strage di armenti. Quando ebbe divorato tutte le pecore di Crevenna, la gente del paese cominciò a offrirgli come cibo i giovani del villaggio, i quali venivano estratti a sorte; il destino volle che tra le vittime designate vi fosse anche la principessa Cleodolinda di Morchiuso, fu lasciata legata presso una pianta di sambuco. San Giorgio giunse in suo soccorso dalla Valbrona, e, per ammansire la belva, le gettò tra le fauci alcuni dolcetti ricoperti con i petali dei fiori del sambuco. Il drago, docile come un cagnolino, seguì tranquillamente Giorgio fino al villaggio; qui, di fronte al castello, il Santo lo decapitò con un solo colpo di spada, e la testa del mostro rotolò fino al Lago di Pusiano. In ricordo dell’avvenimento, ancora oggi il 24 Aprile, giorno di San Giorgio, in Brianza si preparano i “Pan meitt de San Giorg”, dolci di farina gialla e bianca, latte, burro e fiori essiccati di sambuco. I Pan meitt si gustano tradizionalmente con la panna: per questo l’eroico San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, dei militari, dei boy-scout e di Ferrara, è anche il protettore dei lattai lombardi, che un tempo tenevano in negozio un altarino a lui dedicato. C'è anche un'altra leggenda che ci teniamo a citare, racconta l'impresa di Sant'Efflem.  Si narra che un principe avesse individuato la tana di un Drago che terrorizzava i suoi sudditi e in qualità di sovrano aveva il dovere morale di difenderli uccidendo o scacciando la bestia. Nella sua impresa chiese l'aiuto a Efflem, il parroco della sua città che a quel tempo ancora non era Santo, e i due si diressero insieme verso la tana del Drago per porre fine alle sue malefatte. Arrivati davanti la tana però il Principe si fece prendere da un profondo terrore, sentiva il respiro del Drago che da solo bastava a far tremare di paura qualsiasi uomo. A questo punto intervenne il Chierico che disse al Principe di non aver paura, perchè chi era sotto la benedizione di Dio non doveva temere nulla. Il Principe però era immobilizzato, allora Efflem dopo essersi fatto il segno della Croce entrò nella tana del Drago che quando lo vide non solo non riuscì ad attaccarlo, ma si precipitò fuori dalla tana, scappando lontano, fino ad arrivare sulle rive dell'oceano dove si racconta che vomitò sangue. Questo mostra come il male (nel caso specifico il Drago) ha paura più dello scudo interiore di fede che non delle spade e delle armature! Altre importanti storie sui draghi riguardano i paesi nordici; come omettere la leggenda di Beowulf? Secoli fa, quando ancora gli eroi dominavano le terre del Nord, una figura vestita di stracci avanzava carponi lungo una spiaggia rocciosa della Scandinavia alla ricerca di una via per arrampicarsi sulla scogliera soprastante. Era uno schiavo che fuggiva dal suo padrone, un signore del regno dei Geat e, sebbene di lui non si sappia nemmeno il nome, le sue gesta epiche cambiarono il destino del suo popolo”. Nella prima parte della leggenda, lo schiavo vagando lungo la riva si imbatte in un enorme tumulo di pietre, forse tomba di un antico re. Trova l’entrata e penetra nel tumulo. “Si trovava in una stanza del tesoro, dove erano ammassate le ricchezze di una potente e sconosciuta tribù del passato. Braccialetti d’oro a forma di serpente, spille in filigrana d’argento, spade di ferro dall’impugnatura dorata, coppe in ceramica rossa di Samo, amuleti dell’antico dio Thor, monete luccicanti riempivano l’intera caverna. Stava già per avventarsi su quelle meraviglie, quando qualcosa gli gelò il sangue, bloccando ogni suo movimento”. Ed ecco apparire il drago. “avvolto in grandi spire, era acquattato sulle zampe dai lunghi artigli; i fianchi squamosi luccicavano, le ali membranose erano piegate, la grande testa riposava sul pavimento della caverna e le pesanti palpebre erano chiuse su occhi vecchi di secoli”. A questo punto lo schiavo non vuole altro che tornare dal suo padrone, così prende una coppa d’oro per farsi perdonare e fugge dal tumulo. “Quello schiavo, però, disturbando il guardiano del tesoro, aveva decretato la fine del suo popolo. Infatti il drago poteva vedere e sapere tutto, così, quando si risvegliò si accorse subito del furto commesso e avvertì immediatamente l’odore di carne mortale.  Lentamente, trascinò le proprie pesanti spire lungo lo stretto passaggio che conduceva fuori dalla sua tana e, alla luce ormai fioca della sera, osservò la landa desolata alla ricerca delle tracce lasciate dai piedi dell’intruso; appena ebbe trovato ciò che cercava, con un grido e un getto di fuoco, s’innalzò in volo, sbattendo le grandi ali verso il regno dei Geat. Sorvolò tutti i villaggi e le sue urla agghiaccianti fecero precipitare gli abitanti fuori dalle case, i volti cinerei levati verso il cielo; sopra di loro, il drago volteggiava in una danza di morte, lanciando il suo grido terrificante mentre iniziava la discesa. I suoi colpi furono rapidi e terribili: sputando lingue di fuoco, investì i tetti delle case e scomparve in lontananza. In quella terra, tutte le abitazioni, anche quella del re, erano costruite in legno, canne e paglia, furono perciò facili bersagli per il fuoco del drago. In tutto il regno dei Geat, quella notte il cielo venne rischiarato da alte lingue di fuoco che si levavano dai villaggi, che bruciavano come pire funerarie. Niente sfuggì alla furia del drago, e, quando giunse l’alba, le case dei Geat erano ridotte in cenere; dai villaggi si innalzavano sottili fili di fumo accompagnati dagli strazianti lamenti delle donne”. A questo punto il re dei Geat, il mitico Beowulf ma molto più anziano, si arma, si reca al tumulo del drago assieme ai suoi migliori combattenti e affronta il mostro. Solo uno dei compagni del re parteciperà allo scontro, il nobile Wiglaf, e così il re e il drago si uccideranno a vicenda. Questo è un classico esempio di leggenda sui draghi, tanto più che in Scandinavia, attorno al 1000 a.C. (l’epoca descritta nella leggenda) ci fu un immane incendio, che sembrerebbe provare l’esistenza del drago. Tuttavia, analizzando la leggenda, si scoprono alcuni dettagli che potrebbero ribaltare la situazione e scambiare i ruoli di protagonista e antagonista. Innanzitutto l’evento scatenante della vicenda: il furto della coppa d’oro. Come è chiaro, qui quello che subisce il sopruso è il drago, che, accortosi del furto, esce per riappropriarsi del manufatto e punisce gli uomini con l’incendio devastante, anche se con troppa severità… anche persone estranee al furto vengono coinvolte nella vendetta del Drago. Nessuno dice che il leone è crudele perché uccide la gazzella. Può sembrare crudele, ma non lo è. Così è per il drago che, non dobbiamo dimenticarlo, non segue la logica umana. Per il drago della leggenda l’uomo ha commesso un torto, dunque l’uomo va punito. Può sembrarci ingiusto, ma come ci insegna Einstein tutto dipende dal punto di vista. Nelle leggende mesopotamiche, si narra di due esseri primordiali: Apsu, spirito dell’acqua corrente e del vuoto, e Tiamat, spirito dell’acqua salmastra e del caos. L’aspetto di Tiamat era quello di una creatura fatta dall’unione di parti del corpo di tutte le creature che dovevano nascere: possedeva le fauci del coccodrillo, i denti del leone, le ali del pipistrello, le zampe della lucertola, gli artigli dell’aquila, il corpo del pitone e le corna del toro. Se formiamo un’immagine mentale di questa creatura, ci accorgeremo che risponde perfettamente alla nostra idea di drago. Secondo la leggenda, dall’unione di Apsu e Tiamat nacquero gli dei, uno dei quali uccise il padre, Apsu. In preda a furia animalesca, Tiamat diede alla luce molti mostri, il cui compito sarebbe stato quello di perseguitare gli dei. Per difendersi, gli dei nominarono campione Marduk, uno della loro razza; lo armarono con potenti armi e lo inviarono contro Tiamat. Marduk uccise la madre in un epico scontro, poi catturò i mostri da lei generati e li rinchiuse negli inferi. Come si può ben vedere, anche in questa leggenda è il drago a subire un torto: in questo caso Tiamat perde il marito per causa dei suoi figli, e vuole punirli. Gli uomini di quei tempi, però, erano come bambini: ancora capaci di essere terrorizzati dalla furia degli elementi, di cui non concepivano le cause. Gli unici a ergersi tra loro e la potenza devastante della natura, incarnata nei draghi, si ergevano gli dei. E’ chiaro quindi che essi vedevano nel drago, ovvero Tiamat, il nemico e negli dei la salvezza. Anche in Egitto, all’epoca dei Faraoni, c’era la credenza che ogni volta che Ra, il dio sole, “tramontava” entrava in realtà negli inferi, combatteva contro Apopi, il drago degli abissi, e usciva vittorioso. Questa è un’evoluzione del mito mesopotamico, e già comincia a delinearsi il pensiero del drago come essere malvagio e caotico. Anche gli dei della Grecia combatterono contro un drago: era Tifone, ed aveva mille teste e un’immane bocca che vomitava fuoco e fiamme. Solo Zeus ebbe il coraggio di affrontare il mostro, definito Titano. Lo condusse fino oltre il mar ionio ed infine ebbe la meglio su di lui, scagliandogli contro un enorme macigno. Ma la leggenda vuole che Tifone non morì: continuò infatti a vomitare fuoco e fiamme da sotto il macigno, divenuto isola, e questa è la ragione delle eruzioni dell’Etna secondo i miti greci. Come si può vedere, già al tempo di Achille e Agamennone l’evoluzione del concetto di drago era compiuta: da madre primordiale e incontrollabile, fonte di vita e di morte, come era la Tiamat mesopotamica, si era ormai giunti al concetto odierno: il drago era un mostro terribile e incontrollato, che vomitava fuoco e vapori venefici, che distruggeva ogni cosa al suo passaggio (i tifoni hanno preso il nome proprio dal drago Tifone), che uccideva e terrorizzava le razze del mondo, perfino gli dei. I Romani dipingevano sui loro stendardi i Dracones, i vichinghi chiamavano le loro imbarcazioni Drakkar, tutti nomi che indicavano la figura del drago. I draghi “comuni”, invece, dovettero fin da subito lottare con grandi eroi. Riemersi dagli inferi al tempo degli antichi greci, dovettero subito battersi con eroi come Giasone, Ercole e addirittura con gli dei. A volte però le divinità li assoldavano come guardie di un particolare posto, o come creature da mandare in battaglia. Con la caduta dei greci e l’avvento dell’Impero romano, di loro si perse quasi ogni notizia, salvo alcuni avvistamenti di Plinio il Vecchio. In Europa di loro si tornerà a parlare nel medioevo, specialmente nell’Alto medioevo, dove molti eroi inizieranno a cacciare i draghi, uccidendone la maggior parte e causandone l’estinzione. In tutti quegli anni però i draghi non erano scomparsi: essi si fecero vivi migrati a nord, e per secoli avevano devastato la Scandinavia e la Russia. Fu forse in quegli anni che le loro fila persero il maggior numero di draghi: infatti dal nord si levarono grandissimi eroi, come Beowulf, che ne uccisero moltissimi. E proprio nelle lande del nord essi guadagneranno l’appellativo di malvagi e infidi: essi comparivano infatti all’improvviso, magari dopo essere cresciuti all’insaputa di tutti nell’umidità dei pozzi o nei pressi delle paludi.

  

Tipologie Di Draghi
 
Le prime leggende sui draghi, quelle mesopotamiche, parlano di grandi mostri alati, nerissimi oppure blu profondo. I draghi della notte e degli abissi. I primi due draghi ad essere concepiti furono uno nero e l’altro blu: essi sono in pratica le due razze più antiche. I Draghi Neri sono da sempre sinonimo di malvagità e astuzia. Essi sono la reincarnazione del male astuto, che serpeggia, da contrapporsi al male dirompente, simboleggiato dalla forza dirompente dei draghi rossi, che forse discendono dai essi. Il primo drago nero di cui si abbia notizia, la già citata Tiamat, denotava molte delle caratteristiche proprie dei draghi rossi e che invece tendono ad essere assenti in un drago nero. Secondo la leggenda, Tiamat generò un esercito di mostri da scagliare contro i suoi figli, gli dei, e i draghi neri, fatti a sua somiglianza, popolarono il pianeta. Anche se in altre leggende la storia cambia, tuttavia i draghi come oggi li conosciamo, quelli con le ali da pipistrello e gli artigli da aquila, discenderebbero da Tiamat.  Stando alle fonti dell’epoca, una volta cresciuti, i draghi neri, in preda alla fame, divoravano qualsiasi cosa capitasse loro a tiro: greggi, carne umana e quant’altro. Trattamento speciale era riservato alle vacche: i draghi mordevano i loro capezzoli, golosissimi del latte, e i lamenti strazianti delle mucche erano udibili per chilometri. Molte volte per liberare una terra da questo particolare flagello, giungevano eroi da molto lontano: ne è l’esempio un villaggio nel sud dell’attuale Danimarca che venne salvato da un eroe vichingo, giunto in cerca d’onore, con la sua nave e la sua micidiale ascia a sfidare il mostro. Con il tempo, i draghi rossi e i neri si fecero nuovamente vivi nel nord Europa: i rossi nella zona dell’Inghilterra, i neri nella Scandinavia.  Nel frattempo, l’Impero romano cadde, scesero i barbari dalle vaste pianure della Russia e della Germania, e con loro scesero anche i draghi. In Europa però giunsero in maggioranza draghi rossi, che diedero luogo a quasi tutte le leggende con i loro scontri titanici. I draghi neri, in minor numero, non amavano affrontare il nemico in duelli, ma preferivano colpire da posizioni sicure. Ben presto, ai draghi neri bastava volare sopra a una città per scatenare grandiosi incendi o carestie. Ma così, mentre molte città presero il nome dal drago che le aveva flagellate (la parola worm, verme-serpente, o orme, dallo stesso significato, si trovano infatti in Worms Head, Great Ormes Head, Ormesleigh, Ormeskirk, Wormelow, Wormeslea e tanti altri), il ricordo dei draghi neri scomparve confondendosi con quello dei grandi cataclismi naturali, ed essi cessarono di popolare le leggende. Di fatto, fu la loro estinzione.  Le uniche gesta che furono quindi ricordate, furono i grandi massacri e le carestie che questi draghi portarono, ed essi si guadagnarono quindi gli appellativi di malvagi e vili: malvagi per le stragi, vili perché raramente affrontavano faccia a faccia i loro avversari.  Questa è la storia dei draghi in occidente. In oriente, i draghi nacquero da leggende completamente diverse, come diverso fu il loro ruolo. All’origine dunque i draghi erano neri, tuttavia come dice la leggenda Marduk li precipitò nell’inferno, e i draghi, arroventati dalle fiamme, svilupparono due caratteristiche: la loro pelle divenne rossa e guadagnarono l’immunità al fuoco: era la nascita dei draghi rossi, che uscirono dagli inferi nelle leggende greche. Ma non tutti i draghi furono catturati da Marduk: alcuni sfuggirono, e continuarono a popolare il mondo. Essi furono i Grandi Dragoni, e avrebbero trascorso il resto della storia nascosti nelle loro tane, agendo nell’ombra, invincibili. Non tutti i draghi inoltre emersero dagli inferi subito: alcuni, i più potenti, furono rinchiusi per altre ere ancora, e quando emersero la loro pelle coriacea era ormai completamente nera. Essi furono i draghi neri che conosciamo, avversari temibili eppur destinati a scomparire. Un discorso a parte lo merita l’Idra. Con molta probabilità è solo una delle tante sottospecie di draghi neri. La loro caratteristica più conosciuta è che quando una testa viene decapitata, al suo posto ne può ricrescere un numero variabile, da esemplare a esemplare, compreso tra due e sette. Pochi invece sanno che le idre possiedono anche la capacità di soffiare acido sui loro bersagli e, soprattutto, quella poco comune tra i draghi neri di respirare sott’acqua. Molte leggende nordiche narrano infatti di idre degli abissi, per non parlare poi di Scylla (o Scilla), uno dei due mostri che causò la fine di tutti i compagni di Ulisse, nella celeberrima Odissea. Il mostro può infatti essere identificato come un’idra, o meglio come una delle tante fanciulle che ebbe la punizione di essere tramutata in mostro.  Impossibile non citare lo scontro tra Ercole e l’Idra di Lerna, dove il figlio di Zeus dovette ricorrere al fuoco per impedire la continua rinascita delle teste dell’idra.  Le Idre vengono descritte come le più malvagie di tutti i draghi: mentre un normale drago nero uccide per istinto, un’idra può farlo per puro divertimento, ed è molto raro trovare negli scritti antichi un’idra che non trascorra il suo tempo in questo modo.  Le idre inoltre, nelle leggende medioevali, sono spesso cavalcate da perfidi stregoni, che trovarono in quel perfido animale un perfetto destriero. Sebbene siano generalmente più grandi e forti di un normale drago, tuttavia non possiedono alcuna forma di magia, infatti tra le rare leggende di scontri tra idra e drago, quest’ultimo ha sempre avuto la meglio. Dei Grandi Dragoni, data la loro quasi assoluta permanenza nei meandri della terra, pochi ebbero la sfortuna di incontrarli e di vedere il loro aspetto. Ci sono infatti giunte per certe solo due descrizioni: quella già fatta di Tiamat, modello degli attuali draghi di tutte le specie, e quella di Tifone. Quest’ultimo aveva un corpo massiccio, camminava eretto su due zampe ed era alto quanto una montagna. Era dotato di cento teste, e aveva una grandissima bocca nel petto, dalla quale vomitava fuoco e gas venefici. Anche le sue teste erano dotate di fauci, dai denti affilatissimi, tuttavia esse non avevano la capacità di sputare fuoco, e per di più litigavano tra di loro.  Le due descrizioni, per la verità, sembrano avere due soli aspetti in comune, il colore nero e le dimensioni colossali.  I draghi neri “comuni” invece assomigliano tutti a Tiamat, seppure superano raramente la lunghezza di venti metri, esclusa la coda. Essi hanno un’apertura alare grande a volte più della loro lunghezza, e sono di solito muniti anche di corna e di una coda irta di aculei. La loro schiena è percorsa da una linea di scaglie ossee appuntite, utili nel combattimento contro altri draghi. Il loro muso non presenta grandi caratteristiche, tranne forse gli occhi, che a differenza degli altri draghi, che li hanno simili alle lucertole, nei draghi neri ricordano più quelli di una tigre o di un leone. Stando alle fonti, sono in grado di attaccare il nemico con una vasta gamma di soffi: fuoco, acido, gas mortali e bava appiccicosa.  Alcuni draghi neri differiscono però in forma: sono quei draghi cresciuti nei pozzi, che emergono con sembianze di serpenti immani, ricoperti di scaglie. Questo tipo di drago nero, sebbene non possieda la capacità del soffio, non è meno temibile degli altri draghi: può infatti stritolare il nemico come un boa e i muscoli delle fauci sono così sviluppati da permettergli di troncare una quercia con un sol morso.  Dei Grandi Dragoni si accenna in poche leggende, e soprattutto non ci è giunta storia in cui uno di loro venga abbattuto: in sostanza l’unico Grande Dragone a perire fu proprio Tiamat.  I Grandi Dragoni sarebbero generalmente femmine, con rarissime eccezioni: essi vivrebbero in antri profondissimi, molto vicini al nucleo della Terra: anche loro sono infatti immuni al fuoco come i loro cugini tornati dagli inferi, ma i Grandi Dragoni hanno un’arma in più. A differenza dei draghi comuni, hanno ereditato da Tiamat il dono della magia. I Grandi Dragoni si circondano di servitori, arruolati tra le altre creature della natura: essi le usano per difendere gli accessi alla loro tana e per svolgere incarichi nel mondo in superficie. Essi non escono infatti quasi mai in superficie: odiando essi la luce solare e preferendo il caldo tepore del magma incandescente, preferiscono sonnecchiare nelle grotte o, per fortuna raramente, “nuotare” nel magma. Quando lo fanno, scatenano tremende eruzioni vulcaniche e terremoti devastanti. Tifone, anche lui già citato, fu intrappolato da Zeus nel magma con l’isola di Sicilia: il re degli dèi pensava di fermare il drago-titano, ma si sbagliava.